Raku e ceramica classica a confronto

Come abbiamo visto qualche giorno fa qui uno degli elementi più importanti della ceramica di Positano è la completa dedizione alla tradizione durante il lavoro. E parlando di tradizione, non si può non fare riferimento ad un’altra tradizione centenaria che viene da lontano e che ancora oggi viene presa come punto di riferimento nella produzione di Lisa Cinque. Parliamo del raku, l’antichissima tecnica giapponese utilizzata dal XVI secolo dopo cristo in Giappone per la produzione di ciotole e tazze in argilla pensate per la cerimonia del tè.

La tecnica del craquelè

Anche in questo caso, così come nella produzione di ceramica tradizionale di Positano, gli elementi naturali come la terra, il fuoco, l’aria e l’acqua si incontrano e forgiano pezzi brillanti e folgoranti e soprattutto caratterizzati dal craquelè che sono come delle piccole “fratture” o meglio screpolature (craquelé viene dal francese craqueler e significa proprio “screpolarsi”) sull’oggetto che lo rendono quindi al tatto, “imperfetto”. Ed è questa imperfezione voluta a rendere gli oggetti in raku unici.

Differenza tra ceramica classica e raku

La differenza tra la lavorazione della ceramica classica e quella raku è in fase di cottura: nel caso della ceramica classica si attende che l’oggetto si raffreddi lentamente, seguendo il suo corso, all’interno del forno. Nel caso del Raku invece l’oggetto viene estratto dal forno ancora incandescente ed è questo sbalzo termico enorme che fa si che la superficie dell’oggetto si crepi creando una sorta di rete di screpolature, per l’appunto di craquelè, per poi continuare con i passaggi successivi di lavorazione. La cosa affascinate è che un qualsiasi cambiamento di tempistiche durante la lavorazione porterà a risultati diversi e per questo sempre unici e irripetibili. Praticamente una magia…